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.La cerimonia dello smistamento credo sia qualcosa che difficilmente un mago riesce a dimenticare; è una memoria troppo importante per permettersi di lasciarla andare via. Ricordo ogni dettaglio di quel giorno: il lieve vento freddo che smuoveva i nostri mantelli neri, il tramonto che colorava i finestrini dell'espresso per Hogwarts, il crepuscolo che avvolgeva le barche sulle quali dondolavamo. E ricordo anche i miei pensieri, alcuni dei quali non potevano essere più diversi e distanti da ciò che provo ora, altri che si sono rafforzati con il tempo, divenendo una sorta di mantra, per me, a cui tutt'oggi faccio fatica a non pensare.
Mi veniva detto che ero intelligente, in gamba, sveglia e che, se mi fossi applicata, avrei ottenuto ottimi risultati nello studio; mai nessuno aveva provato a mettere in discussione che non dovesse per forza essere così. Per me quelle speranze erano divenute una realtà che dovevo a tutti i costi portare a termine, ne ero ossessionata. Ero troppo piccola per rendermi conto che non ero come mia madre, non lo sarei mai potuta essere. Non avevo quell'ossessione per lo studio e per il dovere che possedeva lei, ma una parte di me si sentiva in dovere di svilupparla, perché era ciò che ci si aspettava facessi.
Fu così, probabilmente, che scoprii cosa fosse l'ambizione. Desiderai di andare ad Hogwarts, mettendomi alla prova, stupendo gli insegnanti, desiderai di divenire una strega potente e abile, un domani. Ecco perché il giorno dello smistamento, a differenza di molti miei compagni, io non provavo paura, sgomento, gioia o irrefrenabile impazienza. Non temevo il giudizio del Cappello Parlante, né speravo di essere smistata a tutti i costi in una casa a cui appartenevano i miei fratelli. Non avevo bisogno di sentirmi al sicuro, da cosa, poi? La mia famiglia non mi avrebbe voltato le spalle se, per caso, avessi indossato colori diversi dai loro ed io non avrei voltato le spalle alla mia famiglia. E allora cosa provavo? Potresti chiederti.
Semplice e puro desiderio di intraprendere la mia strada, di scoprire me stessa e cosa si nascondesse nel mio vero io. C'era quel lato del mio carattere che martellava la mia mente, ricordandomi tutti i tu devi imperati da mia madre senza, probabilmente, che se ne rendesse conto. Ma oltre a quel pressante martellio, c'ero io. Che volevo essere ogni cosa e nessuna, perché desideravo essere tutto quello che ci si aspettava dovessi divenire, rimanendo, al contempo, me stessa. Era come se cercassi disperatamente di tenere assieme pezzi di cocci appartenuti a vasi diversi: non potevano unirsi, nemmeno sotto tutta la forza di volontà che io, testardamente, tiravo fuori.
Quel giorno, salendo i gradini della pedana dei professori, io fui ambiziosa ed egoista. Non pensai ai miei fratelli, non pensai ai miei amici, non pensai nemmeno alla canzone del Cappello Parlante che ancora rimbombava nelle mie orecchie. Desiderai solo una cosa: che gli altri, almeno per una volta, riconoscessero ciò che ero.
Ed è per questo che il Cappello Parlante mi mise a...SPOILER (clicca per visualizzare)Serpeverde, corvonero, tassorosso, grifondoro. Quinto anno.
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Il Cappello Parlante .
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V anno!
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